L'estate sul canale.

Le estati sono sempre state torride. Ma il nostro caldo estivo è diverso da quello dalle altre parti del mondo. Il monsone d'Oriente dove calore si confonde con umidità appiccicosa, a scrosci di pioggia, ad aria spessa che ti fa sentire a disagio mentre tutto intorno a te continua una vita chiassosa e movimentata, come abituata e intoccata da quel disagio. I paesi del deserto dove invece il sole morde come un cane rabbioso e rende le strade deserte; dove il secco e l'arsura implacabili annullano la parola e quasi rendono impossibile il movimento e tutto appare come immobile e mummificato dall'incantesimo di una strega cattiva. Le estati del nord chiare e luminosissime, dove pure senti l'afflato del tepore del cielo, ma avverti come un'ansia di approfittare di uno stato che sarà sempre troppo breve, troppo a lungo atteso ed in un attimo perduto e che subito si mescola a qualche brezza già troppo fresca, quando arriva la sera. E poi la nostra estate mediterranea calda e tenera allo stesso tempo, fatta di frinire di cicale e di profumi di erbe marine o di fieno e di paglie tagliate, di terra che respira, di ombre cercate e riposanti, di scrosci di temporali e di afa meridiana. 

Ero solo un ragazzino, ma nelle mie estati di paese, cercavo con ansia la corrente fresca che ti spirava incontro, mentre scendevi pedalando forte per aumentare la velocità, giù dalla discesa che dalla piazza portava verso la Cerca e l'aria ti asciugava le guance, mentre il rumore che la cartolina che avevi fissato alla ruota posteriore scoppiettava al vorticare dei raggi, simulando il rumore del sognato e mai avuto, motorino, il famoso, ironia della parola, Mosquito. Arrivavamo in basso al canale con le canne da pesca artigianali e si finiva sotto un salice e, infilato maldestramente il cagnotto nell'amo tropo grande, si rimaneva muti a guardare la lenza troppo spessa che affondava nell'acqua ferma in attesa di un'arborella di pochi centimetri, mentre l'occhio seguiva affascinato gli insetti che si muovevano sull'acqua tenuti a galla dalla loro assenza di peso e dalla tensione di superficie. Si muovevano a scatti qua e là some pattinatori su uno specchio di ghiaccio grigio e verde, sola vita in movimento oltre alle grandi libellule dalla testa blu che si tenevano in equilibrio sugli steli dell'erba di palude. Passavamo le ore in silenzio, sognando forse i piccoli sogni che si formano quando ancora la vita è soltanto un futuro di campi inconoscibili e i desideri non riescono a essere grandi perché ancora hai l'innocenza di chi non sa. Si tornava verso la grande piazza a sera, mentre il sole era ancora alto sulle colline, con i quattro pescetti pescati in un sacchetto e la salita così faticosa da rimontare. Dopo di allora, perduta l'innocenza, non sono mai più andato a pescare.


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