Orzo dorato.

Orzo Marchigiano.
E' il solstizio d'estate, fai un giro tra i campi e vedi che la stagione è cambiata, precipitosamente, come presa da un ansia di arrivare, di finire, di compiere il proprio destino. Tutto si gonfia, si appesantisce; un senso così diverso da quella fresca brama di vita e di esperienza che è la primavera, quando tutto sboccia, si apre, cerca nuova esperienza. Adesso invece, il destino pare compiuto, carico di conoscenza e in cerca di quell'ultima dimostrazione di potere. Ecco cosa sono riuscito a fare, dove sono arrivato, come sono stato bravo, ho ancora qualche tempo per mostrarvelo, poi si avvicinerà la fine, inevitabile ma soddisfatta di cose fatte bene. Avete mai guardato un campo di orzo in questa stagione? Non c'è uguale, se volete raffigurare la bellezza piena, ricca ed opulenta, soddisfatta di sé stessa. Già per sua natura più debole del legnoso frumento dallo stelo rigido e impettito, la piantina di orzo, più alta ma fragile nella sua smaniosa voglia di vivere ed affermarsi, si piegava ai venti anche deboli della primavera, dipingendo i campi col suo verde pallido, gentile. 

Quasi vergognandosi di essere giovane e povera, figlia di un dio minore con destini meno importanti, alimento animale, ma speranzosa invece di trasformarsi in malto e poi birra, per dare gioia e fresco piacere, fine gloriosa. Poi tutto ad un tratto, in pochi giorni, ecco che il campo si trasforma di colpo. Il forte calore, spietata cappa che avvolge la terra, le dà un segno e, tutto a un tratto, come avesse ricevuto  un ordine non derogabile, ecco che il pallido verde si muta in oro. Un oro intenso, carico, ricco, luccicante, che non ha uguali e ti abbacina lo sguardo; così diverso, dal suo parente ricco e orgoglioso, un po' rosso, quasi bruciacchiato che par terminare in agonia non voluta, la sua vita comoda di benestante. In quello splendore senza eguali, tutte le spighe con le lunghissime ariste, più languide di ciglia di odalisca, piegano assieme il capo, reclinandolo verso il basso in un inchino gentile ed umile, ma non vergognoso, conscio della propria malia, come una damina del 700 veneziano prima di sedersi all'arpicordo. Eccola, assieme a milioni di sorelle, uguali nel fulgore, ondeggiare tremula alla carezza delle brezze del mattino, quasi immobile nella calura afosa del meriggio che ne accelera il destino finale. Un campo di orzo che si muove ad onde lente all'albeggiare. Mare dorato come poche volte potrete vedere. Non perdete questo spettacolo di bellezza, prodigio dell'ingegno e della creazione umana.


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare: