Scarpe rotte eppur bisogna andar.

Non siamo mai contenti. Sono quattro mesi che non piove ed ecco che vengono due gocce e tutti a lamentarsi del diluvio universale. Manca il senso di sopportazione (forse se lo sono mangiato tutto col finanziamento pubblico), però, accidenti sono uscito stamattina ed ecco qua, sono già con tutti i piedi bagnati. Dice, ma mettiti delle scarpe che non facciano passare l'acqua. Parli bene. Io, che una volta sono sempre stato all'asciutto. Altri tempi. C'era ancora il mio papà e lui, da giovane, aveva fatto il ciabattino. Più che ciabattino aveva lavorato in una fabbrica di scarpe (ad Alessandria ce n'erano tre, con quasi 2000 operai, così come altre 17 tipologie di industrie, quinta città d'Italia come industrializzazione, mica come adesso che siamo attorno all'ottantottesimo posto) e le scarpe le sapeva fare a mano, mica scherzi. Un artigiano coi baffi, calzato e vestito. Diventato ferroviere, aveva comunque conservato, oltre alla manualità, un apposito deschetto poi scomparso con gli scompartimenti dove stavano le diverse misure di chiodi e vari strumenti  e una cassetta, che deve essere ancora in cantina da qualche parte, con tutti gli arnesi del mestiere, un attrezzo di ferro che mi pareva pesantissimo con tre sagome diverse per infilarci la scarpa da aggiustare, lesine, trincetti, aghi, martello, tenaglie, spatole e raspe. Carta vetrata di diverse gradazioni fino al triplo 0 e chiodi di tutte le misure, comprese le cosiddette semenzine di cui si metteva sempre una manciata in bocca, tenendo la scarpa da una mano e il martello dall'altra. 

Io lo stavo a guardare, quando ero piccolo, stregato da quella attività di abilità manuale, un complesso gioco di maestria che partiva da una continua valutazione fatta con occhio critico e perplesso, man mano che il lavoro procedeva e poi la scelta delle strumento, la chirurgica applicazione dello stesso, il taglio, lo smusso, la rifinitura attenta. E quel rigirare la scarpa tra le mani a lavoro finito, già passato il ferro scaldato sulla stufa per lisciare il cuoio trinciato e lucidato, rimirando l'opera compiuta con un leggero sorriso di soddisfazione. Suole di cuoio spesso, poi colla e doppia cucitura con lo spago forte, altro che piedi bagnati e quando arrivavo da lui, per prima cosa mi buttava subito un occhio alle scarpe. "Fa 'n po' vighi 's scarpi che so no t'at bagni i pé". Toccava lasciargliele qualche giorno, lui andava a comprare un bel foglio di cuoio, la colla tedesca, quella micidiale che se ti rimaneva sulle dita, non le staccavi più e dopo qualche giorno, quando passavo, ecco lì il paio di scarpe lucidissime che parevano nuove. A quella operazione era addetta mia mamma con uno straccio morbido e una speciale crema che stava in una scatola di latta e mio padre:"mettine poca che si corrode la tomaia". Adesso invece non le ho mai più avute lucide 'ste benedette scarpe e appena si consuma un po' la suola, bisogna buttarle, se no non fai girare l'economia e intanto appena vengono due gocce ho sempre i piedi bagnati.


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare: